| Ecco, volevo solo riportare delle parole, scritte da una ragazza. Le ho trovate per caso, in giro, ma sono veramente belle, e vere, piene di significato. Questa ragazza non sa quanto c***o sono d'accordo con lei... Leggetela tutta, vi prego, perchè è veramente bella :')
"Ascoltavo Misery, l'altro giorno, mentre tornavo a casa a piedi. E all'improvviso m'è venuta in mente una me stessa di parecchi centimetri più bassa, una me dai capelli lunghi e neri che camminava su quello stesso marciapiede per raggiungere la casa della nonna, anni fa. La piccola me aveva un lettore cd enorme e bianco che si portava sempre dietro. Ho sorriso guardando le mie Converse di American Idiot calpestare di nuovo, dopo centinaia di mesi, quello stesso asfalto. Ho sorriso perché anche la mia copia a scala ridotta e meno incasinata ascoltava Misery, quel pomeriggio di agosto di tante estati fa. E sono cambiate un milione di cose, da quel giorno, ma i Green Day sono ancora al mio fianco.
Non so mai cosa dire, quando parlo di loro, so che la gente non potrebbe capire. I Green Day mi hanno cresciuta, mi hanno presa per mano quando ero alta un metro e un tappo e mi sono stati vicini sempre, tirandomi ogni giorno un po' più su, fino a ritrovarsi accanto una ragazza dai capelli rovinati e l'mp3 onnipresente in tasca. Li chiamo “i miei papà”, a volte, perché mi hanno insegnato tutto quello che avevo bisogno di sapere. Avevo bisogno di imparare a difendermi, non solo dalle persone, ma anche e soprattutto da me stessa. I Green Day mi hanno fatto capire che la musica è l'unica cosa al mondo a cui devo permettere di abbattermi. Non riesco a immaginarmi una vita senza di loro, magari senza tanta altra gente sì, ma non senza di loro. Ricordo ancora i miei occhi da tredicenne che s'illuminavano leggendo “Green Day” sul libro d'inglese di terza media, ricordo il cappuccio della felpa calato sui capelli biondi palesemente tinti, il pub all'angolo, il clima scozzese e Longview sparata al massimo del volume nelle orecchie. Ricordo Castaway cantata a squarciagola mentre il tramonto del duemiladieci infuocava i campi, ricordo il ciondolo di American Idiot che si è staccato dalla catenina proprio mentre correvo sulle scale dell'Auditorium in cui li avrei visti quella stessa sera. Ricordo la paura che provai quando vidi Billie in quello stato, in quel video, e mentre tutti lo osannavano io mi prendevo la testa fra le mani imprecando. Ricordo le innumerevoli volte in cui implorai i miei genitori di mandarmi a un loro concerto, i pianti inconsolabili, l'invidia per chi ci sarebbe stato. E ricordo il brivido che mi spaccò la schiena in due, quello che più che un fremito era una scarica elettrica, un fottuto fulmine in piena regola, quando mi dissero “ci puoi andare”, finalmente, dopo nove fottuti anni, finalmente. Ricordo tutto, proprio tutto, di quel giorno, e la verità è che lo rifarei altre mille volte, starei in coda per altre diciassette fottute ore, mi prenderei di nuovo tutta quella pioggia del cazzo e tornerei ancora a casa con la broncopolmonite e un sorriso a cinquemila watt stampato in viso. E voi non lo sapete (o forse sì? c'è qualcuno che mi capisce?) quello che ho provato quando ci hanno fatti entrare nell'area concerti due ore prima dell'apertura dei cancelli, quando ci hanno messo i braccialetti bianchi per il PIT al polso, quando ho avanzato di qualche passo e l'ho visto, ho visto quel palco e mi sono messa a urlare. Mi sono messa a urlare, sì. Non l'avevo mai fatto, mai, per nessun altro concerto. Mi son trovata davanti tutti quegli strumenti musicali che sembravano gridarmi in faccia che sì, loro sarebbero stati lì, davanti ai miei fottuti occhi e ai miei fottuti capelli verdi, non in uno schermo, non in uno stereo. Una ragazza che non conoscevo mi ha abbracciato, mentre ancora urlavo, e abbiamo riso insieme. Non dimenticherò mai quel momento. Non dimenticherò mai la gioia che rompeva gli argini, m'inondava, mi allagava, mi faceva venir voglia di sorridere di più, di squarciarmi le guance. E ricordo che mentre correvo verso quel palco, mentre andavo a sbattere contro i ragazzi appoggiati alla transenna, pensai home, we're coming home again.
Uno dei miei sogni più grandi era essere lì, insieme a loro, ad alzare le mani verso il cielo e cantare come se non ci fosse un domani. E non è un modo di dire, credetemi. Quando sei là in mezzo il domani non esiste, e nemmeno l'altro ieri se per questo. Quando sei là in mezzo ti senti incredibilmente presente, presente su questo cavolo di mondo e in quel cavolo di tempo, ti senti bruciare mentre Billie ti urla che sei vivo, dannazione, sei vivo per davvero. Un giorno vidi su internet l'immagine di un paio di mani che, tra la folla di un concerto, tenevano in alto un cartone con sopra scritto “today is a green day”. Promisi a me stessa che ci sarei stata anch'io e che avrei gridato al mondo che quello era il mio momento e che nessuno, diamine, nessuno avrebbe mai potuto portarmelo via. Mi promisi che sarei sopravvissuta fino ad allora, e anche dopo, perché non è finita finché non sei sottoterra. Mi promisi che non avrei mai permesso a nessuno di cambiarmi, nemmeno a me stessa, perché io stavo e sto tuttora bene nei miei lobi perforati da troppi orecchini, sto bene nei miei capelli colorati, nei miei anfibi pesanti, nei miei braccialetti collezionati ai concerti. Ho visto due volte i Green Day dal vivo, finora. “Today is a Green Day”, recita la maglia che ho scelto di indossare mentre li vivevo con furia.
Nessuno mi ha mai capito come loro, nessuno. Nessuno ha mai avuto le parole giuste da dire, finché non sono arrivati loro. E mi sono lasciata demolire per pomeriggi interi, accanto a quello stereo, ascoltando 21 guns e immaginandomi qualcosa di meglio di quello schifo che stavo vivendo. E io dico sempre che i Green Day mi somigliano tanto, ma, adesso che ci penso, questo è anche abbastanza ovvio. “Ha preso dai suoi genitori”, balbettano i passanti. E io ho preso dai Green Day, ho degli esempi coi controcoglioni. Me ne sono voluta andare moltissime volte, da qui, ci ho pensato così spesso che mi stupisco che il mio cervello non sia andato in fumo, scoppiato nelle pareti del cranio dipingendolo e colorandolo di quel grigio spento che ci piace vedere solo nei film di Tim Burton. “Somebody get me out of here!”, urlavo contro il muro e nel letto alle due del mattino, “get me the fuck right out of here!”. Nessuno mi ha mai portato via. Ma mi porterò via da sola e questo non mi spaventa.
Se c'è una cosa che amo, ma che amo proprio da morire, da sentire le falene mangiarmi le costole, è guardare Billie Joe che s'inchina davanti a tutti accanto alla sua chitarra. Immaginatevi cos'ho provato, immaginatevelo, quando l'ho visto inginocchiarsi all'improvviso, a pochissimi metri da me, e appoggiare la testa contro il palcoscenico. Immaginatevi cosa diamine ho provato, quando gli uomini che ho ringraziato ogni giorno per quasi dieci fottuti anni hanno ringraziato me, hanno ringraziato noi. Mi dicono sempre che tengo lontane le persone, con quelle borchie, che hanno tutti paura di pungersi. E non si avvicinano mai più di tanto, alle nostre catene che pendono dai jeans, ai nostri piercing di metallo. “I tipi così non sanno amare”, ho sentito alcune persone bisbigliare per strada. E forse questa gente si sarebbe ricreduta, se avesse visto quel ragazzone di due metri che mi stava vicino al concerto di Montreux e ch'è scoppiato a piangere alle prime note di Brutal Love. Forse quelle smorfie di disappunto si sarebbero trasformate in sorrisi increduli, se fosse stata al mio posto a Milano, se avesse sentito nel bel mezzo di Boulevard of broken dreams due braccia sconosciute abbracciarla, da dietro, e rimanere salde e calde e dolci fino alla fine della canzone. E io non ho mai visto il viso del ragazzo che m'ha regalato l'abbraccio più bello della mia vita, ma va bene così, perché quello era anche e soprattutto l'abbraccio della mia musica. I “tipi del genere” sanno amare, credetemi. I tipi del genere hanno imparato ad amare dai Green Day, quei ragazzoni che ti chiamano sul palco e non ti dedicano frasi sdolcinate, ma ti piazzano fra le braccia la loro chitarra, la loro stessa vita, e te la lasciano suonare. Io ho imparato ad amare dai Green Day, che ti trascinano accanto al microfono e ti baciano in bocca senza tante cerimonie. Ho imparato ad amare dai Green Day, che non t'imbottiscono di paroline allo zucchero, ma s'inchinano fino a poggiare la fronte contro il palcoscenico."
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