Capitolo 2: Dwelled By The Teamsters « Parti, stupido rottame!».
Queste furono le imprecazioni provenienti da un relitto che in un’epoca remota doveva essere stato una Ford azzurra: generalmente risparmiava le imprecazioni per questioni di maggiore rilevanza, ma quella macchina che lui definiva “rottame” aveva ferito il suo già vacillante orgoglio numerose volte. Quella vecchia spugna di Sal, ciò che fino a qualche anno prima era tutto ciò che lui poteva definire come “famiglia”, non gli aveva insegnato nulla di particolarmente utile, se non come ricavarsi dell’ottimo Whiskey da una lattina, dell’acqua e una mela smangiucchiata. Essendo stato cresciuto da un camionista tra i camionisti, i motori sarebbero dovuti essere il suo pane quotidiano, ma, per quanto si fosse sforzato, la meccanica sarebbe rimasta un arcano per lui. La vita gli aveva insegnato cose molto diverse, perché viaggiando aveva visto quella che era la vera realtà americana e si era accorto che molta altra gente si trovava in casini assai più grandi dei suoi o di quelli di Sal. E quando la vita e lo Stato gli avevano portato via anche lui, due anni prima, si era trovato a fronteggiare da solo la realtà, maturando l’idea che i problemi dell’America erano in realtà così tanti da non poter essere estirpati uno ad uno. Bisognava bruciare tutto e costruirci sopra qualcosa di nuovo. Afferrò la chiave inglese e si fece coraggio.
***
La bici sfrecciava per le caotiche strade della città, quasi sepolte sotto l’ombra degli imponenti cartelloni pubblicitari. Tutto quel rumore la innervosiva tremendamente: curvò bruscamente a sinistra, inoltrandosi in un fitto groviglio di strade, fino a che l’odore acre del fumo non le colpì le narici, disgustandola. Si diresse decisa verso la fonte della coltre grigiastra, scoprendo che il responsabile di tutto era il non-voluto “eroe” che l’aveva quasi fatta precipitare giù da un ponte. Ad una prima occhiata sembrava che stesse avendo una violenta colluttazione con il carburatore di quella che forse in un tempo remoto era una macchina e che questo stesse vincendo alla grande. Fermò la bici e si diresse verso il ragazzo: gli doveva un favore, dopotutto. Gli prese di mano la chiave inglese e con fare scocciato lo spostò di lato, così che la lasciasse lavorare. Cinque minuti dopo la macchina aveva smesso di fumare ed emetteva un borbottio ben più rassicurante di quello precedente.
«Era il tappo del carburatore. L’ho sistemato come meglio potevo, ma non durerà a lungo, ti consiglio di cambiarlo al più presto se non vuoi che l’auto ti abbandoni definitivamente» spiegò risoluta Gloria. Il ragazzo si passò imbarazzato una mano tra i folti e spettinati capelli neri, dandole occasione di studiarlo meglio: converse nere, jeans sdruciti e una t-shirt bianca con il logo dei Ramones macchiata di quello che aveva tutta l’aria di essere olio per auto, segno dell’intensa relazione che avevano stretto il ragazzo e il carburatore.
«... Grazie».
«Dovere. Non amo avere debiti con gli altri» disse restituendogli la chiave inglese. « Ti consiglierei di evitare altri scontri con il carburatore, sarebbe un peccato rovinare qualche altra maglia di un buon gruppo».
Il giovane si rese conto delle pessime condizioni in cui era ridotta la sua T-shirt e si passò nervosamente una mano dietro il collo, messo all’angolo dalla schiettezza della ragazza. « Ne terrò conto. Comunque sia, io sono Christian».
«Gloria» rispose lei stingendo la mano che il ragazzo le aveva offerto.
«Posso offrirti qualcosa per sdebitarmi? Una birra, magari?».
Teoricamente non avrebbe avuto alcun motivo per sentirsi in debito con lei, dal momento che le aveva salvato la vita e lei lo aveva ripagato riparando la sua vecchia auto, ma Gloria sorvolò sui dettagli e si lasciò tentare dall’idea di una birra ghiacciata.
***
«Allora, ti andrebbe di spiegarmi perché avevi intenzione di buttarti?» domandò dopo aver buttato giù un lungo sorso della bevanda ghiacciata. Gloria sbuffò. « Certo che sei davvero insistente. Se proprio ci tieni tanto a saperlo, ero seria quando ho detto che non avevo intenzione di buttarmi: chiunque trasalirebbe se qualcuno gli si presentasse di soppiatto alle spalle, e per merito tuo ho rischiato veramente di lasciarci la pelle. Comunque sia, ci sono fin troppe cose che vorrei fare e che vorrei cambiare, prima di poter effettivamente morire».
«Del tipo?».
Gloria lo guardò, per poi spostare lo sguardo amareggiato verso l’orizzonte. Tutta quella curiosità era nuova, per lei. « Se non te ne fossi accorto, il mondo in cui viviamo fa piuttosto schifo, sotto certi aspetti. Sin da quando si è piccoli cercano di inculcarti l’idea di conformismo e di adeguamento alla società, poi, una volta che non sei diventato altro che un fantoccio la cui unica libertà è quella di obbedire, ti trattano come feccia. Sono certa che le cose andrebbero meglio se più gente facesse sentire la propria voce, perché molti altri si sveglierebbero dal torpore in cui sono caduti. Attualmente il silenzio è il vero nemico di queste persone».
Christian si lasciò sfuggire una risata amara.«Hai le idee piuttosto chiare, sul mondo moderno. E come avresti intenzione di cambiare le cose?».
Fu allora che lo vide per la prima volta bruciare nei suoi occhi, quel fuoco che le ardeva dentro e che la rendeva piena di ideali, traboccante di vita. «Combattendo il silenzio, facendo sentire la nostra voce. Quando la gente si vede sbattere in faccia la verità, non può rimanere indifferente, inizia a farsi delle domande».
«Mi dispiace contraddirti, ma sono i fatti, non le parole, a portare dei cambiamenti. Con le proteste e con la diplomazia si risolve ben poco, ma alla fine le cose non cambierebbero lo stesso».
Gloria si alzò di scatto, facendo cigolare il tetto della macchina sul quale erano seduti. No, non era ancora giunto il momento di arrendersi, e si sentiva in dovere di farlo capire a Christian, anche se era poco più di uno sconosciuto, per lei. «Ti sbagli. Riusciremo a cambiare le cose, anche se siamo in pochi a crederci, anche se tutti sono contro di noi. Ce la possiamo fare».
Si ritrovò a fissarla, rapito. Sembrava quasi che brillasse di luce propria e che con essa volesse liberare il mondo dalle ombre della notte. Si domandò chi fosse veramente quella donna e che cosa avesse passato nella sua così breve esistenza di così sconvolgente da essere riuscita a trovare la forza di credere in qualcosa.
«Gloria. L’America si sta inesorabilmente dirigendo verso la fine dei suoi giorni di gloria, eppure tu trovi la forza di dire che le cose possono cambiare. Cosa ti da tutta questa forza? Ti prego, raccontami la storia della tua vita».