| Allora, premetto che non è propriamente una discussione di politica e attualità, ma non sapevo bene dove postare (potreste pure mettere la sezione "filosofia", anche come sottosezione di "politica e attualità" U.ù *-*). Poi, mi rendo conto che sarà difficile NON parlare di religione, ma se si potesse evitare sarebbe meglio (anche perchè di discussioni sull'argomento ce ne sono già tante). Probabilmente i mod vorranno chiuderlo perchè si è già parlato della morte (soprattutto in ambito religioso), ma l'intento di questo post non è tanto parlare della morte, qunato analizzare e commentare la concezione che ne ha Epicuro. Vabbè, vediamo come va. U.U
Abítuati a pensare che nulla è per noi la morte, poiché ogni bene e ogni male è nella sensazione, e la morte è privazione di questa. Per cui la retta conoscenza che niente è per noi la morte rende gioiosa la mortalità della vita; non aggiungendo infinito tempo, ma togliendo il desiderio dell’immortalità. Niente c’è infatti di temibile nella vita per chi è veramente convinto che niente di temibile c’è nel non vivere piú. Perciò stolto è chi dice di temere la morte non perché quando c’è sia dolorosa ma perché addolora l’attenderla; ciò che, infatti, presente non ci turba, stoltamente ci addolora quando è atteso. Il piú terribile dunque dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo piú. Non è nulla dunque, né per i vivi né per i morti, perché per i vivi non c’è, e i morti non sono piú. Ma i piú, nei confronti della morte, ora la fuggono come il piú grande dei mali, ora come cessazione dei mali della vita la cercano. Il saggio invece né rifiuta la vita né teme la morte; perché né è contrario alla vita, né reputa un male il non vivere. E come dei cibi non cerca certo i piú abbondanti, ma i migliori, cosí del tempo non il piú durevole, ma il piú dolce si gode.
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